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sabato 24 agosto 2013

La fabbrica deve chiudere

Fuori dalla mia finestra si vedono queste tre ciminiere; fanno parte di quello che una volta era il complesso delle acciaierie, sorto per scopi di guerra e adesso abbandonato. Tre giganti rossi di mattoni refrattari che si stagliano contro il cielo, invincibili. Sono la prima cosa di questa città che chiunque vedrebbe arrivando da mare.

Dal mare sono sempre arrivate le navi cargo, che impregnavano il porto di odori forti, quasi sempre più forti e più buoni della puzza di pesce.
Io ho fatto in tempo a veder scaricare il grano, ad esempio. Mi piaceva l'odore dei cereali che andavano al pastificio, esattamente al fianco delle vecchie acciaierie. Bisogna dire che questa città è stata un polo industriale e più in generale di commercio praticamente da sempre. Oggi è disseminata di monumenti alla decadenza industriale come le acciaierie, di cicatrici del passaggio indelebile dello scorso secolo. Fabbriche floride e operose che si sono lentamente svuotate, poi chiuse e lasciate a marcire.
Per fortuna molte di queste oggi sono state già riconquistate dalla vegetazione.
Sono sparsi ovunque per il paesaggio giganti vecchi e stanchi che non servono a nessuno e a me questo piace da impazzire. Mi piace che ci siano posti dimenticati, perché esplorarli ti da delle sensazioni forti e ti racconta molte cose, un numero inimmaginabile di storie del passato che io non sono pronta a lasciar andare.

Quando ho inventato il nomignolo di fabbrica di notte in città tirava aria di chiusura per il pastificio, una delle ultime due grandi fabbriche rimaste attive, di quelle che servono per le cartoline. Una sera in un momento di tristezza ho preso la bici e sono andata davanti al cancello dell'enorme edificio. L'ho studiato nei particolari, l'ho osservato in silenzio e alla fine del mio pensiero ho concluso che il bestione di ferro e cemento era bellissimo, di notte. Era già bello come una fabbrica abbandonata.





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